sabato 8 agosto 2009

Voi per noi

Sento strane emozioni. I "miei ragazzi" sono già arrivati e la prima settimana è passata. Intensa, credo, per tutti. Potrei raccontarvi delle attività fatte insieme, dei sorrisi dati e ricevuti. Questo, tuttavia, vorrei lo facessero loro perché io ho il mio servizio civile ancora da scrivere, ho la mia esperienza con loro ancora da vivere.
Mi pongo alcune domande. Mi sento responsabile. Non di loro, grandi e maturi a sufficienza. Di me stessa, del Libano, e del loro ritorno. è tutto ovviamente unito da una trama sottile che sto tessendo da anni. Ero qui nel 2006, volevo ritornare. Un percorso. Soprattutto, perché Libano? Cosa provo io per questo paese? Catullo può aiutarmi in una mattinata in cui le parole faticano a scorrere, talmente i pensieri si attaccano e rosicchiano tutto quello che trovano in testa:

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tortura.

In tre settimane riuscirò a fare il solletico al gruppo? Stimolare la loro curiosità? Essere in grado di farli "appassionare" un po' a questo posto così contraddittorio e ricco di spunti di riflessione da spronarli- una volta tornati a casa - a leggere il dossier Paese e a prendere qualche libro indicato in bibliografia finale? In una settimana hanno eseguito molti compiti e si sono messi a servizio, sono orgogliosa di loro. Mi chiedo, però, se riuscirò a incoraggiarli a proseguire questo servizio nella sua modalità mentale anche una volta tornati. Il Libano non è un paese che ti colpisce il cuore per i suoi colori o per situazioni di povertà estrema. Da qua tuttavia spesso si può capire la direzione che la regione mediorientale sta prendendo e questa non è mai svincolata con l'area mondiale. Quindi quello che succede qui manifesta i giochi politici decisi altrove e la nostra influenza parte dal nostro impegno nel nostro Paese, come parte attiva e partecipante della nostra società civile.
Da servizio civile, molti di noi hanno scritto post di indignazione per quello che sta diventando l'Italia. Forse uno sguardo estero ci ha aiutato a essere più lucidi.
Finite queste tre settimane, o finito questo mio anno di SCE, qui in Libano in un campo profughi, cosa cambierà per i palestinesi? Noi saremo pieni di racconti, di succulenti cibi e saremo più grandi, più maturi. Avremo vissuto e capito cose. Ai palestinesi, nel mio caso specifico, cosa sarà restato? Un sorriso in più? Un vivere alla giornata e..."questa giornata è stata bella perché c'eravate voi a coccolarmi, ad aiutarmi" ma poi se chiedi loro quale futuro immaginano per i loro figli e nipoti, lo sguardo diventa buio, svuotato di speranza, colpito dalla rassegnazione. Quello che mi piacerebbe è chiedere a tutti i cantieri e a tutti gli SCE di riflettere. Siamo partiti per dei Paesi. Alcuni sapevano e volevano andare in un luogo preciso, altri no ed era l'esperienza, questa, che volevano fare. Un anno, tre settimane e poi il ritorno in noi stessi oppure una presa di consapevolezza che avrà seguito?
Ai posteri l'ardua sentenza.
Scusate per questi pensieri un po' noir, mi ha colpito, tuttavia, una domanda posta da una donna palestinese al nostro gruppo: “Cosa potete fare voi per noi?”.

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