domenica 8 febbraio 2009

Una serata speciale

T. vive dallo scorso agosto nell’Appartamento Sociale. Il prossimo luglio ne uscirà.

Quando esci dall’aeroporto di Chisinau vieni avvicinato da un gruppetto di taxisti in cerca di una corsa per il centro città.

Quando esci da un aeroporto di una qualsiasi altra città del sud del mondo, vieni assalito da urlanti venditori di corse che cercano invano di alleggerirti il portafoglio triplicando il prezzo perché tanto sei un turista e i soldi non ti mancano.

Quando rispondi che a minuti arriverà un tuo amico a prenderti, il taxista moldavo ti chiede se ti serve un “dopo taxi”.

Qualche giorno dopo, leggendo il quotidiano sull’aereo, ti accorgi che qualcuno nel tuo paese (in minuscolo, per favore) ha pensato di “chiedere”, per legge, ai medici di segnalare il paziente clandestino. Eh sì! Bisogna essere pazienti e sperare che il decreto flussi aumenti il numero di badanti, così hai qualche speranza in più di uscire dal tuo Paese. Bisogna poi essere pazienti e cercare qualcuno che ti assuma anche se non ti conosce. Se riesci a trovarlo, devi sperare, con pazienza, che il bambino che accudisci non diventi mai adulto o che l’anziano che curi sia immortale. Ci vuole tanta pazienza. Ma a un certo punto, quando ormai pensi di aver scoperto di essere una fonte inesauribile di pazienza, perdi il lavoro e ti ammali. Così ti accorgi che essere paziente non è più una virtù, è un reato.

In Ucraina è scoppiata una bombola del gas all’interno di una casa famiglia per minori che dopo pochi giorni avrebbe iniziato ad accogliere i primi bambini. Forse la guerra del gas, quello che arriva nelle nostre case, ha costretto il guardiano a difendersi dal freddo come poteva. La casa ora è un cumulo di macerie e il custode non ce l’ha fatta. In un primo momento gli amici ucraini che disperati ci hanno raccontato la tragedia, hanno lanciato un appello per trovare donatori. Perché a Kiev una sacca di sangue costa 100 $.

T. ha 17 anni e non ha ancora i documenti d’identità. Per lo Stato non esiste. Anche se ha vissuto per molto tempo in un istituto (internat) gestito dallo Stato. Come lei, altri 100.000 minori moldavi hanno uno o entrambe i genitori all’estero, a cercare un lavoro, non a fare le ferie. Quando le chiedi cosa vorrebbe fare da grande ti risponde che non sa neanche cosa farà il giorno dopo. Non riesce a disegnarsi un futuro.

Il progetto “Verso l’indipendenza” non ha la presunzione di salvarle la vita: prova almeno ad offrirle l’occasione di diffidare degli italiani che al taxista chiedono il “dopo taxi”, il dopo lavoro. Quegli stessi italiani che tornando a casa dalle proprie mogli, sull’aereo fanno a gara per raccontarsi la serata speciale appena trascorsa.

Quegli stessi cittadini che domani dovranno dire ad altre T. di fermare l’emorragia con un po’ di cerotti oppure di tornare da clandestini nel proprio Paese.

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